Testimone della pura Bellezza

Rajmund (Raimondo) Kupareo – nato il 16 novembre 1914, a Vrboska (Verbosca) sull’isola di Hvar (Lesina); morto a Zagabria il 6 giugno 1996. – era domenicano ed esule (rifugiato politico) croato, presbitero, teologo, poeta dotto,[1] filosofo, scrittore, drammaturgo, compositore e professore emerito della Pontificia Università Cattolica del Cile.


Kupareo 1943

La vita


Discende da una vecchia famiglia nobile della Dalmazia centrale, entra nell’Ordine dei Predicatori a Dubrovnik nel 1930 viene ordinato sacerdote a Spalato nel 1937. Studia filosofia, teologia e lingue a Dubrovnik, Zagabria (Croazia), Olomouc (Moravia), Santiago (Cile) e Washington (Stati Uniti d’America).

Nel 1939 pubblica il suo primo libro a Sebenico, città natale di Niccolò Tommaseo.

Durante la seconda guerra mondiale, Kupareo è direttore della Gospina krunica (Rosario della Madonna), una rivista mensile pubblicata a Zagabria. Nello stesso tempo è a capo della casa editrice domenicana Istina (Verità) che pubblica una traduzione di Storia di un’anima di Santa Teresa di Lisieux e Razmišljanja o krunici (Meditazioni sul Rosario), un libro tradotto da mons. Alojzije Stepinac, all’epoca arcivescovo di Zagabria. L’arrivo delle truppe comuniste nella primavera del 1945 ostacola la realizzazione del suo progetto di pubblicare tutte le omelie e orazioni pronunciate da Stepinac tra il 1934 e il 1944, interventi in cui l’Arcivescovo aveva fortemente condannato il razzismo e le intolleranze mettendo in rilievo il diritto del popolo croato ad avere un proprio stato. Una volta entrati a Zagabria, i comunisti distruggono l’intera edizione di 10.000 libri che trovano in tipografia. Una sola copia viene salvata usata poi, al processo di Stepinac, come materiale di testimonianza che servirà inoltre a dimostrare che non vi era alcuna libertà di stampa nella Jugoslavia di Tito.

Due mesi dopo Stepinac viene condannato a 16 anni di carcere, Kupareo a sua volta fu costretto a lasciare la Croazia il 2 gennaio 1947, e non potrà vedere la sua patria fino al 10 giugno 1971. Si rifugia nella Repubblica cecoslovacca e poi nei Paesi Bassi per finire in Francia e Spagna. Nel 1950 finalmente, come, si stabilisce sulle colline delle Ande in Cile. Passa i suoi anni di maggior produttività intellettuale come professore, esercitando la professione di docente di estetica e assiologia a Santiago del Cile. Per due volte fu nominato decano della Facoltà di Filosofia e fu onorato della carica di vice-rettore della Pontificia Università Cattolica del Cile. Fonda l’Istituto di Estetica e la Scuola di Giornalismo a Santiago del Cile, nonché promuove e cura numerose pubblicazioni (El mundo católico, Aisthesis e Anales de la facultad de filosofia y ciencias de la educación). In qualità di rappresentante ufficiale della sua Università, attraversa gran parte dell’America del Nord, quella del Sud nonché dell’Europa e del Medio Oriente.[2]

Nel ritirare l’onorificenza del dottorato “scientiae et honoris causa” il 5 giugno 1959 Kupareo si rivolge ai presenti dicendo che accettava con gratitudine il riconoscimento in nome del suo Ordine e in nome della sua “Croazia sofferente, che vede in me il rappresentante del suo nobile spirito cristiano”.[3]

Kupareo,“eminente poeta, esteta per vocazione, studio, cultura e sensibilità, professore universitario che ha ottenuto le più alte onorificenze; fondatore e direttore della rivista ‘Aisthesis’ per gli studi e ricerche estetiche; editore del settimanale ‘El Mundo Católico’ e degli ‘Anales de la Facultad de Filosofía y Ciencias de la Educación’; maestro di generazioni di professionisti, è sicuramente un uomo del Rinascimento. Il Cile può ritenersi privilegiato per poter annoverare tra i suoi valori massimi un personaggio di tale valore. Le sue opere nelle arti e nelle scienze sono l’eredità di Padre Kupareo. Posso mettere in rilievo la sua prosa, la bellezza delle sue palesi metafore, delle descrizioni che danno il concetto di un ambiente poetico che aumenta la loro dimensione, la finezza di un linguaggio che ha il sacro respiro della cattolicità. Il suo operato delinea la brillante figura di Padre Kupareo come uomo dedito al servizio di Dio. Ed è proprio questa condizione di uomo di Chiesa – cioè di uomo di preghiera, rivolto all’amore del prossimo, alla contemplazione ordinata sul nostro rapporto con il Divino – come sacerdote il cui desiderio è quello di condividere con noi il compito che richiede l’amore di Cristo, ciò che dà alla sua magistrale opera un soffio di autenticità che l’ha già fatta imperitura”.[4]

Un ictus che l’ha colpito il 14 maggio del 1970 lo costrinse al ritiro. È tornato in patria per concludere i suoi giorni, per morire, è riuscito però in un certo senso a rimettersi in salute e da allora conduce una vita appartata e semplice nel convento domenicano di Zagabria. Nonostante la sua tuttavia fragile condizione fisica, ha continuato la sua opera letteraria e scientifica. Nel 1985 è diventato membro dell’Istituto del Cile (dell’Accademia Cilena di Scienze, Lettere ed Arti); dopo i cambiamenti democratici in Croazia finalmente diventa membro dell’Associazione degli Scrittori Croati mentre già prima era membro della Matica hrvatska e della Società Americana per l’Estetica. Gli sono stati conferiti alcuni dei più alti riconoscimenti cileni e croati negli ultimi anni della sua vita e dopo la sua morte. È stato sepolto nel Cimitero del Mirogoj a Zagabria (RKT, 27-I-188) il 10 giugno del 1996.

Fra Rajmund Kupareo ha pubblicato 25 volumi di diversi suoi scritti: nove trattati di estetica (in latino, castigliano e croato), 14 libri di poesie, romanzi, racconti e opere teatrali (in croato, ceco e castigliano). La sua poesia è compilata nell’antologia Svjetloznak (Segno di luce) nel 1994, dopo la sua morte sono state trovate altre due poesie manoscritte e pubblicate nel quotidiano Vjesnik il 6 giugno del 1998. Nella letteratura croata le sue poesie lo contraddistinguono come poeta ineguagliabile del Natale e del Venerdì Santo pregno di un sano e potente patriottismo, senza pretese. Profondamente ispirato dal cristianesimo, era un uomo persistente nell’ auto-ricerca interna, di una fervente fede e di un incrollabile amore per la sua patria.


Le opere


I suoi libri di poesie sono: Pjesme i psalmi (Poesie e salmi, Sebenico, 1939), Nad kolievkom srdca (Sopra la culla del cuore, Zagabria, 1945), Na rijekama (Sui fiumi, Madrid, 1948), Blagoslov zvijezda (La benedizione delle stelle, Buenos Aires, 1961), Pjesme: Izbor 1930-1980 (Poesie: Selezione 1930-1980, Zagabria, 1980), Můj malý žaltář (Il mio piccolo salterio, Tišnov, Boemia, 1982, 1988 e 2009), Sabrane pjesme (Raccolta di poesie, Zagabria, 1992), Svjetloznak (Segno di luce, Varaždinske Toplice, 1994) e Balada o Gospinim pčelama (Ballata delle api della Madonna, Zagabria, 2014).

Nello Svjetloznak ci sono 258 poesie di vari argomenti – dalle poesie che si ispirano alla sua amata patria e alle impressioni di paesaggi alle poesie dedicate al Natale al Presepio, alle elegie quaresimali, inni di Pasqua, poesie dedicate a Gesù e Maria fino alle imitazioni di salmi ebraici. Il Gesù nella poesia di Kupareo è in ogni momento vicino all’ uomo, ma rimane sempre Dio, proprio come il Cristo crocifisso negli affreschi del Beato Angelico. Fra Raimondo rimane fedele alla tradizione domenicana che ha sempre considerato il Poeta di Nazaret in forma di Dio (sub specie Dei).

I suoi libri dei saggi di estetica sono: Ars et moralis (L’arte e la morale, Santiago del Cile, 1951), El valor del arte: Axiología estética (Il valore dell’arte: assiologia estetica, Santiago, 1964), Creationes humanas 1. La Poesía (Creazioni umane 1. Poesia, Santiago, 1965), Creationes humanas 2. El Drama (Creazioni umane 2. Dramma, Santiago, 1966), Evolucion de las formas novelescas (L’evoluzione delle forme narrative, Santiago, 1967), El tiempo y el espacio novelescos (Tempo e spazio narrativo, Santiago, 1968), Umjetnik i zagonetka života (L’artista e il mistero della vita, Zagabria, 1982), Govor umjetnosti (Linguaggio dell’arte, Zagabria, 1987), Čovjek i umjetnost (L’uomo e l’arte, Zagabria, 1993) ed Um i umjetnost (Intelletto ed Arte, Zagabria, 2007).[5]

I suoi libri nell’ambito del Dramma sono: due giochi per bambini – Magnificat e Sliepo srdce (Il cuore cieco, Zagabria, 1944) e tre sacre rappresentazioni – Muka Kristova (La Passione di Cristo: poema sacro sui cinque misteri, Madrid, 1948), Uskrsnuće (La Resurrezione, 1983) e Porođenje (La Natività, 1984) – gli ultimi tre pubblicati insieme con il titolo Prebivao je među nama (Risedette tra noi, Zagabria, 1985). Nei suoi misteri su Gesù, Kupareo presenta il patrimonio teologico domenicano che tenta di mantenere la divinità di Dio. Gesù non appare mai sul palcoscenico, a volte sentiamo solo la Sua voce. Sembra che Egli non ci sia, eppure fortemente si sente la Sua presenza. Nella Passione, Kupareo assegna il principale ruolo a Barabba – alla corruzione, all’uomo stesso.

Tra le sue opere di prosa vengono annoverate: U Morskoj kući (Nella Casa al Mare: un romanzo tratto da esperienze dalla vita moderna, 1939), Jedinac (Il figlio unico, 1942), Baraban (Barabbano:[6] un romanzo con reminiscenze dall’isola di Lesina, 1943), Sunovrati (I narcisi, 1960), Balada iz Magallanesa (La ballata di Magellano, 1978), Čežnja za zavičajem (Nostalgia di patria, 1989), Patka priča (Racconti di un’anatra: ricordi di un emigrante, 1994) e Izabrana djela (Opere scelte, 2005).[7] Tutte le sue narrazioni riportano singolarità tratte dalla realtà e presentano elementi autobiografici.

Kupareo compose lavori musicali di carattere religioso e secolare: mottetti polifonici e anche varie operette, principalmente su testi propri. Si conservano nei vari archivi domenicani in Croazia, Cile e Italia. Ad esempio compose la musica per la famosa preghiera O spem miram, dedicata a San Domenico, lavoro che ha composto a Las Caldas de Besayu (Spagna) nel 1949.

“Redattore e collaboratore di varie riviste a carattere teologico-filosofico, si occupava in modo particolare del problema estetico e assiomatico. Brillante conferenziere e versatile scrittore che possiede tutti i requisiti necessari a un letterato moderno, egli si è provato con successo nel romanzo, nella novella, nel dramma, nella critica letteraria e soprattutto nella poesia.

È una figura letteraria assai interessante e originale, che ha saputo conciliare la propria vocazione religiosa, conventuale, con quella poetica. Egli ha dimostrato che anche i motivi religiosi possono avere nella poesia lo stesso diritto di cittadinanza che essi hanno trovato nelle arti figurative: basta esserne intimamente ispirati, basta un sentimento sincero ed una adeguata espressione poetica.

Egli sente nella fede dal profondo del suo animo quella vera poesia che a sua volta canterà con la spontaneità e con l’ardore di un fanciullo nel Natale, nell’Angelus, nelle Api della Madonna ecc.. Oltre alle poesie religiose, il Kupareo, profondamente commosso dalla tragedia nazionale del 1945, ha composto interi cicli di poesie patriottiche, adottando per esse generalmente la forma dei salmi del Vecchio Testamento; col dare la veste biblica all’espressione poetica di questo motivo e fondendo in uno il sentimento religioso e quello patriottico, egli ha voluto dimostrare il carattere sacro del proprio amor patrio, invocando l’aiuto divino per una causa giusta e quindi infondendo speranza agli animi scoraggiati e disperati. Non meno belle e suggestive sono le sue poesie di paesaggio con originali personificazioni degli oggetti e delle forze della natura, in cui non è difficile riconoscere il paesaggio tipicamente croato. Come sono lineari i suoi mezzi espressivi – semplicità di tutt’altro che facile realizzazione – così è immediato il godimento estetico che procurano le sue poesie; la nobiltà dell’ispirazione e la sincerità del sentimento, uniti alla forma artisticamente riuscita, non potevano generare che una poesia autentica”.[8]


Legato


Il legato di Kupareo si può riassumere in una delle sue poesie, Isus u mojoj lađi (Gesù nella mia barca), pubblicata per la prima volta nel febbraio del 1937. Mezzo secolo più tardi, l’autore ha spiegato che questa poesia “immerge sforzo umano nel tempo e nell’eternità”.[9] Lui dice:


“Gesù nella mia barca


Gesù nella mia barca

I flutti senza vita i remi miei respingono.

Nonostante lo sforzo immane, procedo lentamente.

Placido è il Suo sonno (come se ignorasse il mio esistere)

Non importa. Tuttavia è qui.

La mia tenace fede mi fa sfidare il vento

E so che Gesù è con me.

Quando le mie braccia i pesanti remi fanno cadere

Io mi assopirò e a remare Lui continuerà.

(tradotto da Ingrid Damiani Einwalter)


La traduzione rende solo il significato, mentre la magnificenza della poesia di Kupareo risiede nella facilità di una perfetta armonia di contenuti, versi, rime, ritmo e melodia del testo. Tutto particolari che, tranne il contenuto, declinano nella traduzione. Coloro che non parlano croato, anche se non comprendono il testo, possono sentire il ritmo e la rima dei versi originali. Pertanto, eccoli.


“Isus u mojoj lađi


Mrtvi mi valovi izbacuju vesla.

Sporo idem uza snagu svu.

A On mirno spava (k’o da ne zna za me)

Ništa za to. On je ipak tu.

Imam vjeru čvrstu da prkosim vjetru

I znam da je Isus meni sklon,

Pa, kad teška vesla iz ruku mi padnu,

Ja ću zaspat, a veslat će On.”


Ho cercato di ricostruire la genesi di questa poesia. Ecco quello che ho trovato. Alla fine del 1936 Kupareo ha pubblicato il racconto Crna lađa (La barca nera)[10] in cui parla di Parón Zorzi, residente a Verbosca, che ha offerto la sua vecchia amata barca per i falò di San Pietro. Nel dialetto dalmata di Lesina, parón significa padrone di un natante e Zorzi è Giorgio. Allora il padrone può essere identificato come il padre di Kupareo, Jure, cioè Giorgio in croato, nato nel 1885, ucciso nel 1943, che ”ha portato la moglie e suo figlio Luka” (che è il nome di battesimo di fra Raimondo) a Gornja Podgora, ad una distanza di 19 miglia nautiche, in un pellegrinaggio al santuario di San Vincenzo (che si celebra il 16 agosto). Dopo aver adempiuto le preghiere per il loro voto fatto, nella notte s’avviarono al ritorno e sollevata la vela e consegnato il timone al figlio, Parón Zorzi, si addormentò. All’alba un temporale estivo scoppiò nel canale di Lesina. Luka spaventato, ha svegliato suo padre. Le circostanze erano piuttosto difficili per non dire gravi. Ben presto, la loro barca rimase in balia delle enormi onde che minacciavano di capovolgere l’imbarcazione. Ad un tratto un’onda più grande delle altre ha riempito la barca d’acqua. La moglie con un implorante grido si rivolse alla Madonna. Il padre comandò a Luka di gettar fuori l’acqua il più rapidamente possibile e poi di abbassare la vela. Mentre lo stava facendo, il ragazzo mise la gamba in fallo e la vela cadde in mare. Sopravvissero per miracolo.

Il giovane frate collegò questa sua esperienza di naufrago nel mare Adriatico con l’episodio del Vangelo che ci rappresenta la tempesta calmata da Gesù (Mt 8, 23-25; Mc 4, 35-41; Lc 8, 22-25). Possiamo confrontare la tempesta della narrazione di Kupareo a quella della poesia: la vela è sostituita dai remi, la compagnia dei genitori dalla presenza di Gesù e la paura del ragazzo dalla fiducia del frate. In relazione alla pericope sinottica: la barca di Pietro è la barca di fra Raimondo, il vento non è un problema, solo le onde lo sono; gli apostoli non sono molti, c’è solo uno; Gesù non parla, ma rema; Egli non comanda al vento e al mare, ma aiuta l’uomo e dirige il movimento della barca. Il Suo sonno e la Sua comparsa rappresentano l’uomo, mentre la Sua presenza, perseveranza e gentilezza sottolineano la presenza di Dio.

In entrambi i casi: Gesù naviga in un mare in tempesta. I cristiani sono imbarcati nella barca della Chiesa e fanno il loro viaggio su questa terra attraversando un mondo in tempesta vegliati dal Signore. Il giovane frate ha imparato dal Salmo 121, 4 che il custode d’Israele non si addormenterà, non prenderà sonno, anche se potrebbe sembrare così. Pertanto, la fede è la risposta: il Salvatore è qui, un credente non deve temere il pericolo; la Vita è guidata dal rematore e non si deve aver paura della morte, di affondare né di annegare. Il Fratello Raimondo ha imparato a non essere confuso nel pericolo e ad essere umile.


Eredità filosofica e teologica


I saggi di Rajmund Kupareo sull’estetica sono chiaramente permeati da un carisma domenicano, ispirati alle opere di San Tommaso d’Aquino (1225–1274). Nessun dei critici letterari croati prima di lui aveva prestato tanta attenzione e seguito la convinzione di San Tommaso (e generalmente cristiana) che nessun essere è senza valore. Quante possibilità ci sono di trovare una spiritualità in un’interpretazione non stereotipata di opere classificate come opere che ricercano spiritualità al di là delle “verità oscure”, nelle opere di Andrić, Brecht, Dostoevskij, Kafka, Krleža, Marinković, Matoš, Meštrović, Selimović, Ujević e Vida!

Rajmund Kupareo ha immortalato alcuni dei suoi fratelli domenicani rendendoli protagonisti delle sue storie. Ha trovato un parte della sua ispirazione nell’atmosfera, architettura e nell’antica patina religiosa dei conventi in cui aveva vissuto. Kupareo ha registrato lo scambio delle sue idee ed esperienze con il teologo Yves-Marie Cardinal Congar (1904–1995) in una storia intitolata Ekleziolog (L’ecclesiologo).

L’amore per la verità ha portato Kupareo a capire che ogni opera letteraria, nonostante il suo sviluppo, anche se inconsciamente, cerca di perfezionare il mondo imperfetto. Non vi è alcun rifiuto per principio né didattismo superficiale.

Nella sua poesia intitolata Spoznaja (Intuizione, 1944), il poeta di Verbosca si era espresso molto bene nei confronti della teologia apofatica e la consapevolezza dell’essere che è in grado soltanto toccare la Prima Verità (e il trascendente in generale) senza però comprenderla. Tutto il nostro parlare di Dio è solo balbettare. Lo sforzo intellettuale dell’uomo e la forza di volontà non sono sufficienti; è impossibile vivere senza la fede. Questa era la sua poesia preferita, ammettendolo, scrive:


“Troverai te stesso quando il tuo cuore s’abbatterà

Nel mesto abbraccio che gela l’anima.

Sappi che solo lacrimando pallide le candele

danno vita alle loro fiammelle.

Non dispiacerti se il pensiero tuo tace,

perché inquieti aliti da sempre vi si annidano,

Ascolta il battito che nell’eterno presagio palpita:

è il tuo cuore, soltanto il tuo!”

(tradotto da Ingrid Damiani Einwalter)


I versi originali sono:


“Naći ćeš sebe kad ti srce klone

U naručaj sjete koja dušu zebe.

Znaj da blijede svijeće tek kad suze rone

Osvjetljuju sebe!

Tada nemoj žalit’ što ti mis’o šuti,

Jer u njoj oduvijek nemiri se roje,

Tek srce, srce koje vječno sluti,

Ono je tvoje… samo tvoje!”


In una delle idee fondamentali della sua estetica, sostiene che l’arte è un fenomeno del tutto umano. “Il trascedentale, come tale, non fa parte dell’arte. I misteri (sacramenti), le verità rivelate, in quanto tali, non possono essere contenuti delle opere d’arte. Un artista cristiano presenta i simboli di questi misteri nelle sue opere, ma questi simboli non vanno oltre i confini della fantasia umana. Sarebbero altrimenti etichette dogmatiche, come il triangolo della Santissima Trinità… Questi possono entrare a far parte della catechesi, ma non dell’arte”.[11] Questo punto di vista spiega il suo approccio e l’atteggiamento che troviamo in numerose opere poetiche che avevano una concezione piuttosto liturgica.

L’adorazione tradizionale domenicana del Santissimo Nome di Gesù, lo ha ispirato a scrivere:


“[…] Siamo tutti plagiari scomode del contenuto inesauribile

Del Tuo nome (chi più, chi meno).

Siamo tutti ladri, per tutti noi immeritatamente

C’è il Tuo nome scritto nelle nostre anime.

Eppure è questo la perfezione nostra e il passaporto nostro per il Paradiso.

Coloro che avevano rubato più di Te,

Si salvarono più,

O, Gesù!” (Ime Isusovo, 1937).


Attraverso l’osservanza regolare della preghiera comune (la liturgia delle ore celebrata in coro, recitando i salmi), Kupareo è entrato nel mondo dei salmi ebraici. Ha cercato di integrare nel suo cuore le parole dei salmi provenienti dalle sue labbra. Di conseguenza ne ha adottato la forma che è diventata il suo mezzo d’espressione riuscendo in tal modo ad arricchire i vecchi salmi biblici con nuovi aspetti moderni.

Ringraziando il Signore per i suoi doni, fra Raimondo ha pregato per la benedizione di una vita produttiva e brillante:


“Sia lodato, per la gioia della vita di cui Tu mi hai dotato

Per il segreto della gioia che Tu mi hai rivelato […]

Ti prego solo di non lasciarmi sfuggire dalle Tue mani

Poiché la Tua bellezza è insostituibile” (Psalam djeteta koje je našlo sreću, 1938).


Il parallelismo è una sorta di rima, un ritmo in cui un’idea è sviluppata con l’uso di ripetizioni, sinonimi o opposti.

Il parallelismo sinonimo o sintetico coinvolge due linee che esprimono essenzialmente la stessa idea o idee espansive, per esempio: “Le mattine non portano freschezza ai nostri passi, * le notti non cullano le nostre mani” (Kupareo, Salmo V).

Due linee che esprimono gli opposti sono dette parallelismo antitetico. Per esempio: “Abbiamo creduto in Te, * perciò non si fidano di noi. / Abbiamo amato Te, * ma ci odiano. / Abbiamo sperato in Te, * però per questo ci detestano” (Kupareo, Salmo I). L’uso degli opposti in poesia può portare ad un contrasto più netto ad un’immagine e fornire una maggiore attenzione al messaggio desiderato. È spesso caratterizzata dall’impiego della congiunzione ‘ma’, posta tra due informazioni giustapposte che aiutano il lettore a visualizzare entrambe le prospettive del testo, positive o negative che siano.

La struttura di un salmo segue il parallelismo di pensieri e sentimenti: la seconda linea ripete il significato della precedente con simile concezione o immagine e viceversa. Nel mezzo del verso c’è una pausa da osservare. A volte la ripetizione di una riga alla fine di una strofa rafforza l’intensità del sentimento (della gratitudine, supplicando …). “Il tuo spirito buono mi guidi in terra piana” (Salmo 143, 10), il fratello Raimondo loda:


“Il Signore aveva misurato il nostro cuore, *

     nel bilancio delle sue mani aveva ponderato il nostro dolore:

l’angoscia preponderò la malizia dei tiranni, *

     e pazienza il potere degli oppressori.

Siamo un fiume in piena: *

     non meravigliatevi se trabocchiamo le porte della mente!

Siamo agnelli sciolti: *

     senza rancore se saltiamo i recinti del cuore” (Psalam VII, 1948).


Profondamente colpito dalla tragedia del suo popolo dopo la seconda guerra mondiale (il massacro di Bleiburg) e dalle persecuzioni di coscienza comuniste nonché dalla negata libertà di religione, ispirato d’altro canto dai salmisti del Vecchio Testamento (essendo vicino a loro e tuttavia indipendente), Rajmund Kupareo piangeva i dolori croati, sedendo sulle rive dei fiumi e mari stranieri. Nei Sedam hrvatskih pokorničkih psalama (Sette salmi penitenziali croati) ha dato un’espressione salmica e solenne all’angoscia dei rifugiati politici della sua epoca. Toccato dal verso: “Tu sorgerai, avrai pietà di Sion“ (Salmo 102, 14), egli contempla:


“I nostri giorni sono logorati in un’attesa eterna, *

     siamo condannati a vigilare.

Le mattine non portano freschezza ai nostri passi, *

     le notti non cullano le nostre mani.

Le preoccupazioni sono emerse sulla nostra fronte, *

     la neve è nei nostri capelli.

La nostra schiena si è piegata sotto il flagello del tempo, *

     gli anni pesano sulle nostre spalle.

Incespichiamo *

     perché i nostri occhi guardano in lontananza.

Hanno avvolto la nostra anima dalla paura, *

     siamo sepolti vivi.

Hanno consumato il nostro amore con la vendetta, *

     hanno paura delle sue ceneri.

Tu, o Signore, spargerai queste ceneri sui nostri campi *

     sui nostri focolari spenti,

affinché sboccino *

     e si rinnovino.

Perché non abbiamo nulla tranne queste ceneri dell’amore,

     fino alla speranza” (Psalam V, 1948).


Iva Čuvalo nota: “Sono sempre stata affascinata dal fatto che Kupareo non era solo un poeta, ma anche un vero profeta. Credeva incondizionatamente e fermamente nella libertà del suo popolo e alla fine dei suoi giorni aveva avuto la fortuna di vedere questa libertà raggiunta. Nella propria espressione egli non solo seguiva ampiamente i modelli biblici, ma nella realtà incarnava in sé lo spirito dei profeti dell’Antico Testamento per mezzo dei quali Dio aveva parlato al suo popolo.”


Un modello per le generazioni


La creatività di fra Raimondo è sincera, in conformità con la sua vita. Il suo lavoro è una scuola di fede, di umiltà, di saggezza, di patriottismo, di etica e di competenza.

Per i cristiani che sono vivi e vivaci, il Kupareo è un esempio:

– di ricercatore della verità tra coloro che sono diversi, come quando ha analizzato vari autori;

– di vera fedeltà, cattolicità, moderazione e veridicità per i teologi e gli scrittori di oggi;

– per la presenza al fermento culturale;

– di come si affronta la scena culturale e come ci si presenta su di essa: per la sua testimonianza, tradizione, cordialità e intelligenza;

– della semplicità e cordialità di un professore universitario;

– della sensibilità di un sacerdote, predicatore e insegnante;

– dell’acume di un padre e un narratore;

– di comprensione profonda delle arti e delle scienze, della docenza e della poesia, di precisione e spontaneità.

“La quiete, la modestia e l’intimità sono vicino a lui. L’intera anima umana s’inserisce in quello spazio. Senza riposo. La saggezza – raccolta e condivisa in lui attraverso molti anni – ha portato abbondante chiarezza e clemenza in lui. Quindi lo spazio nell’uomo che separa lo scienziato dal poeta è svanito. Sicché, una poesia umana di base, una scienza umana costitutiva è quella di essere un uomo. Un uomo di Dio. Rajmund Kupareo è riuscito in ciò”.[12]

L’impronta di frate Rajmund Kupareo permane nell’assiologia internazionale, nell’ estetica cilena, nella letteratura croata e nell’Ordine Domenicano come pure nei nostri cuori. Le sue dita toccano le corde dei valori e i tasti di armonie. Il suo cuore ascolta il mugghio del mare della costa adriatica. Seguendo la scia di Tommaso d’Aquino, il suo spirito contempla la bellezza e il bello. Rajmund Kupareo è veramente un segno di luce in un bivio.


Campioni poetici


Qui ci sono alcune riflessioni di Kupareo, tradotti in italiano.


Gesù nella mia barca


Le onde senza vita rigettano i miei remi.

Vado lentamente, nonostante tutta la mia forza.

Ed Egli dorme tranquillo (come se non sa di me).

Ma non importa. Egli è tuttavia qui.

Ho la fede forte a sfidare il vento.

E so che Gesù mi è propizio.

Così, quando i remi pesanti scivolano dalle mie mani,

Io dormirò, e remerà Egli.

Rajmund Kupareo, Isus u mojoj lađi (1937), tradotto da Petar Marija Radelj 


Intuizione


Troverai te stesso una volta che il tuo cuore si adagia

Tra le braccia della tristezza che congela l’anima.

Sappi che le pallide candele solo quando piangono

Fanno luce su se stesse.

Non dispiacerti quindi, che il tuo pensiero stia zitto,

Perché le inquietudini esplodono in essa da sempre.

Solo il cuore, il cuore eternamente presentendo

È tuo… soltanto tuo!

 

Rajmund Kupareo, Spoznaja (1944), tradotto da Petar Marija Radelj


L’alba


Con la brocca azzurra va per il sentiero

che la luna ha spianato di notte.

Dalle sue falde il Giorno pian piano affiora

”Buon giorno!“ – sussurra – ”Buon giorno!“

S’accende in viso del colore di rosa,

dalla brocca versa l’argentea rugiada,

lava le orecchie della piccola lumaca

e le mani del Giorno che portano il Sole.

Rajmund Kupareo, Zora (1948), tradotto da Franjo Trogrančić


Il mattino


Egli è il paggio del Giorno. I colori del suo palmo

son presagi dell’umore del giorno nella gaiezza e nella tristezza.

I colori dei vestiti si scelgono

come si vedono sulla tavolozza del Mattino.

Di corsa s’affaccia sul fiume per vedere

se vi si specchia la sua ombra.

Il Giorno solleva il sole della profonda rupe

e lo schianta contro di essa. Rimane solo la schiuma.

Rajmund Kupareo, Dan (1948), tradotto da Franjo Trogrančić


Il giorno


Ha allungato il collo dei neri comignoli,

ai prati ed al fiume ha scoperto i petti.

Dal campanile civico per ore e ore

come un custode osserva le opere delle genti.

Davanti a lui si sposta l’ombra dei grandi monti

quando se ne va verso mezzodì a bere un bicchiere di latte.

E canta, perché sa che nel fitto bosco

l’aspetta, stanco, la giovane Sera.

Rajmund Kupareo, Jutro (1948), tradotto da Franjo Trogrančić


Il paesaggio


L’autunno s’arrampica sugli alberi gialli

e raccoglie le foglie,

mentre il vento con esse ai margini della strada

il giaciglio si stende.

Sotto gli alberi l’inverno ha versato gli specchietti

dall’arcano scrigno:

l’autunno s’è gelato. La sua chioma grigia

è coperta di brina.

Rajmund Kupareo, Pejsaž (1948), tradotto da Franjo Trogrančić


I pini


Nessuno li uguaglierà in freschezza:

han sorbito la tinta delle giovani erbe marine,

s’arrampicano pel monte dove naviga la luna,

qualcuno sulla roccia si mette al sole e dorme.

Dai loro fianchi nascono le navi,

e le reti van fiere pel colore della lor corteccia.

O, dove mai gli uccelli bisticciano più dolcemente

che sopra di te, nostro nero pino?

A Natale di soppiatto s’avvicinano al villaggio…

I vecchi, come natalizi ceppi, si scaldano al fuoco,

mentre i giovani d’oro e d’argento vestiti

sopra il presepe gioiosi ridono coi bimbi.

Rajmund Kupareo, Borovi (1944), tradotto da Franjo Trogrančić


Venite, uccelli


Venite, uccelli! Sono i miei palmi

ulivi d’argento coi rami intatti.

Venite di notte. Sono i miei palmi

una stella di cinque punte, splendente, radiosa.

Venite gente. Sono i miei palmi

miniere profonde di beni sepolti.

Venite, tristi. Se il volto corroso

dal pianto fra i miei palmi poggiate,

vedrete ogni lagrima mutarsi

in un santo unguento dal colore dell’oro.

Venite, felici fra il fango e la mota,

solido saranno i palmi miei fondamento

alla gioia e alla fama.

Venite, bambini. Sul mio palmo

vi porterò attraverso la vita al riso e al fulgore;

e sarete come i bimbi ebrei felici

nell’abbraccio del Cristo.

Venite, venite… La gioia di tutti

riposa nel palmo del servo di Dio.

Nelle sue mani la benedizione si cela

sono esse le scale per i paesaggi celesti.

Rajmund Kupareo, Mladomisnički blagoslov (1937), tradotto da Luigi Salvini


Gesù benedice il pomeriggio della domenica


Fra poco il giorno si toglierà le vesti festive

e chiuderà a chiave nell’armadio molti desideri e bellezze:

sparirà il riso domenicale e la spensierata dolcezza

i cammini assumeranno la gravità quotidiana.

I portali della chiesa sono spalancati ad accogliere il sole

che già fra loro entrò ieri mattina.

Li fascerà con la sua compattezza l’intera settimana,

basta al riposo un solo giorno, un solo giorno.

Perché anche il Padrone del cielo sta chiuso nel tabernacolo

tutta l’intera settimana.

Eppure di domenica, nel meriggio, si siede davanti alle porte a parlare con noi,

a insegnarci che solo il lavoro è degno d’eterno.

E poi ascolta tutti i nostri guai, come un fratello più anziano

ci avvia al segreto del successo e ci dà tanti consigli.

Ci accarezza dagli occhi la sua candida luce

e si nasconde, perché al sacrificio di domani già si prepara.

Rajmund Kupareo, Isusov poslijepodnevni blagoslov u polju (1938), tradotto da Luigi Salvini


Salmo V


… Tu exurgens misereberis Sion (Ps 101, 14)

I nostri giorni hanno preso il largo nell’attesa eterna,

siamo condannati a vegliare.

I mattini non recano freschezza ai passi,

le notti non addormentano le mani.

Le preoccupazioni sono spuntate sul nostro capo,

la neve è nei nostri capelli,

la schiena s’è curvata sotto la frusta del tempo,

gli anni pendono dalle nostre spalle.

Inciampiamo,

poiché gli occhi guardano nel lontano.

Avvolsero di paura l’anima nostra,

vivi siamo sepolti,

con la vendetta bruciarono il nostro amore:

della sua cenere hanno paura.

Tu, o Signore, disperderai quella cenere

sui nostri campi

e sui nostri spenti focolari,

perché rifioriscano

e si rinnovino,

poiché non abbiamo nulla che la cenere dell’amore,

che la speranza.

Rajmund Kupareo, Psalam V. (1948), tradotto da Franjo Trogrančić


[1] È uno dei maggiori rappresentati di una intera schiera di poeti cattolici croati: dr. Gjuro Arnold (1853–1941), p. Jovan Hranilović (1855–1924), dr. Marin Sabić (1860–1923), dr. Velimir Deželić st. (1864–1941), Silvij Strahimir Kranjčević (1865–1908), mons. dr. Ivan Evanđelist Šarić (1871–1960), p. Milan Pavelić, S.I. (1878–1939), don Nedjeljko Subotić (1882–1950), don Izidor Poljak (1883–1924), dr. Ljubomir Maraković (1887–1959), dr. Petar Grgec (1890–1962), dr. Josip Andrić (1894–1967), dr. Cvite Škarpa (1898–1968), dr. Ilija Jakovljević (1898–1948), Antun Branko Šimić (1898–1925), dr. Branko Storov (1899–1945), Sida Košutić (1902–1965), Đuro Sudeta (1903–1927), Ivo Horvat (1903–1994), Nikola Šop (1904–1982), dr. Ton Smerdel (1904–1970), Gabrijel Cvitan (1904–1945), fra Gašpar Bujas, O.F.M. (1906–1963), dr. August Đarmati (1906–1981), Ivo Lendić (1908–1982), Mira Preisler (1908–1982), don Jeronim Korner (1909–1976), Srećko Karaman (1909–1964), Vinko Nikolić (1912–1997), Ante Jakšić (1912–1987), Branko Klarić (1912–1945), fra Janko Bubalo, O.F.M. (1913–1997), fra Serafin Mičić, T.O.R. (1913–2002), Viktor Vida (1913–1960), don Aleksa Kokić (1913–1940), fra Lucijan Kordić, O.F.M. (1914–1993), Vinko Kos (1914–1945), Jakša Ercegović (1918–1945) e Luka Brajnović (1919–2001).

[2] Ecco un elenco cronologico dei luoghi che ha visitato e registrato nella sua odissea “d’antra”: Belgrado il 3 gennaio 1947, Budapest il 5 gennaio 1947, Bratislava il 5 gennaio1947, Olomouc il 6 gennaio 1947, Praga il 21 gennaio1947, Jablonné (Gabel) il 20 maggio 1947, Košice il 30 agosto 1947, Norimberga il 31 ottobre 1947, Colonia il 1º novembre 1947, Amsterdam il 1º novembre 1947, Nimega il 1º novembre 1947, Mare del Nord il 6 novembre 1947, L’Aia il 22 dicembre 1947, Rotterdam il 2 gennaio1948, Brussel l’11 marzo 1948, Lovanio il 14 marzo 1948, Parigi il 15 marzo 1948, Madrid il 2 April 1948, Santiago de Compostela il 31 agosto 1948, Vigo il 2 agosto 1949, Santiago del Cile il 18 maggio 1950, Miami il 7 ottobre 1952, Chicago l’8 ottobre 1952, Basilea il 13 ottobre 1954, Buenos Aires dal 14 al19 agosto 1957, Montevideo dal 19 al 21 agosto 1957, San Paolo dal 21al 22 agosto 1957, Rio de Janeiro dal 23 al 26 agosto 1957, Lisbona il 28 agosto 1957, Barcellona il 29 agosto 1957, Nizza il 30 settembre 1957, Roma dal 1º al 2 settembre 1957, Bologna il 3 settembre 1957, Milano il 4 settembre 1957, Venezia dal 5 al 7 settembre 1957, Trieste l’8 settembre 1957, Firenze il 9 settembre 1957, Napoli il 19 settembre 1957, Parigi (nuovamente) il 23 settembre 1957, Chartres il 2 ottobre 1957, Versailles il 12 ottobre 1957, Friburgo il 17 ottobre 1957, Berna il 18 ottobre 1957, Zurigo il 1º novembre 1957, Monaco di Baviera il 1º novembre 1957, Vienna il 6 novembre 1957, Madrid (nuovamente) il 14 novembre 1957, El Escorial ed Ávila il 21 novembre 1957, Toledo il 23 novembre 1957, Siviglia il 27 novembre 1957, Londra il 2 dicembre 1957, Nuova York il 7 dicembre 1957, Houston il 23 dicembre 1957, Chicago (nuovamente) l’11 dicembre 1957, Tacoma il 18 dicembre 1957, Nuova York (nuovamente) il 22 febbraio 1959, Roma (nuovamente) il 14 settembre 1959.

[3] Hrvatska revija (Buenos Aires), IX (1959) 2, p. 240.

[4] Raúl Sanin Orellana Ramírez, ambasciatore del Cile in Croazia, citato nel Vjesnik Hrvatske dominikanske provincije (Zagabria), XXXIV (1997) 80, p. 43.

[5] Eppure, otto studi in croato rimangono tuttavia fuori dall’ambito di questi libri. Essi si trovano nella: Hrvatska revija (Rivista Croata), 3/1962, p. 241–243, 4/1963, p. 531–543; 3–4/1991, p. 399–403; 1/1992, p. 151–153; 2–3/1993, p. 231–234; Marulić, 1/1986, p. 6–11; 4/1992, p. 420–423 e Stepinac mu je ime (Il suo nome è Stepinac), II, p. 361–365. Per saggi in spagnolo cfr. Testigo de la Belleza (Testimone di bellezza).

[6] Barabbano è il nome della raganella, strumento di legno usato per fare un rumore crepitante, usato durante la Settimana Santa, quando le campane si fermano. In senso figurato, significa rumore e rombo. Come evento, il barabbano è un’antica usanza in Dalmazia e Bosnia-Erzegovina in cui si percuote con ramoscelli di betulla od ulivo crepitando con il barabbano, usato invece delle campane, alla fine della Settimana Santa come segno di protesta simbolica contro la condanna di Cristo, un rumore onomatopeico che si prefigge di illustrare il terremoto del Calvario per ricordaci dei nostri peccati che flagellano Cristo. Ciò avviene alla fine del rito dell’ufficio delle tenebre (chiamato così perché di solito è cantato molto presto la mattina, quasi fa ancora buio pesto) secondo il rito tridentino, cioè alla fine del Mattutino e delle Lodi negli ultimi tre giorni della Settimana Santa: il Giovedì, il Venerdì e il Sabato Santo. In tale ambito è usanza colpire le panche con dei bastoni per ricordare ai fedeli la scena nel tribunale di Pilato, quando Gesù fu flagellato dai soldati romani.

[7] Oltre a queste collezioni, le sue storie si trovano nelle opere: Akvinac, III (1935) 4, p. 27–29; Crkva u malom, (1986) 14, p. 19–20; 17, p. 11–12; (1995) 42, p. 13–15; Danica 1989, p. 115–117; Danica 1990, p. 113–116; Danica 1991, p. 113–116; Danica 1992, p. 118–122; Danica 1993, p. 136–137; Danica 1994, p. 126–127; Danica 1995, p. 121–122; Danica 1996, p. 132–133; Danica 1997, p. 132–136; Forum, (1994) 9–10, p. 668–697; Gospina krunica, (1941) 9, p. 243–244; 10, p. 279–280; 11, p. 307–308; 12, p. 331–332, 336–337 e 339–341; (1942) 5, p. 132–133; (1943) 5–6, p. 135–136; (1945) 1–3, p. 13; (1946) 1–2, p. 5–7; Hrvatska straža, IX (1937) 158, p. 8; Kalendar Gospine krunice 1934, p. 71–76; 1935, p. 94–98; 1937, p. 114–116; 1938, p. 95–96; 1939, p. 91–93; Kalendar Srca Isusova i Marijina 1945, p. 105–107; Kolo, (1993) 9–10, p. 865–869; Sunčani vinograd: zbornik, 1943, p. 205–209.

[8] Franjo Trogrančić, Poeti Croati moderni, Milano, 1965, p. 223–224.

[9] Rajmund Kupareo, Stvaralačka mašta, Marulić (Zagabria), 23 (1990) 2, p. 177.

[10] Kalendar Gospine krunice 1937, Zagabria, 1936, p. 114–116.

[11] Rajmund Kupareo, Bilješke o odnosu teologije i umjetnosti, Marulić (Zagabria), 27 (1994.) 4, p. 587.

[12] Stjepan Lice, S Božićem u duši, Caritas danas (Zagabria), I (1994) 9, p. 32.